TESINA “IL BULLISMO”

Bullismo

Che cos’è il bullismo? 

Con il termine bullismo si intende definire un comportamento aggressivo ripetitivo nei confronti di chi non è in grado di difendersi. Solitamente, i ruoli, nel bullismo son ben definiti: da una parte c’è il bullo, colui che attua dei comportamenti violenti fisicamente e/o psicologicamente e dall’altra parte la vittima, colui che invece subisce tali atteggiamenti. Gli astanti sono gli studenti che stanno a guardare ciò che sta accadendo senza fare molto per aiutare la vittima. Sono testimoni diretti che preferiscono far finta di non aver visto nulla

Secondo le definizioni date dagli studiosi del fenomeno,uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto deliberatamente da uno o più compagni. 

Non si fa quindi riferimento ad un singolo atto, ma a una serie di comportamenti portati avanti ripetutamente, all’interno di un gruppo, da parte di qualcuno che fa o dice cose per avere potere su un’altra persona.

CARATTERISTICHE:

Possiamo poi riconoscere 3 parti principali del bullismo:

  1. L’intenzione e il voler essere un bullo
  2. La ripetizione delle azioni aggressive
  3. La differenza di potere tra la vittima e il bullo

Per quanto riguarda invece l’età in cui si riscontra questo fenomeno, si hanno due diversi periodi. Il primo tra gli 8 e i 14 anni di età, mentre il secondo tra i 14 e i 18, ma negli ultimi anni si sono riscontrati fenomeni di bullismo anche tra i ragazzi di 11 anni e anche di meno.

I comportamenti violenti che caratterizzano il bullismo sono:

  • Parolacce, offese, insulti.
  • Ridere per l’aspetto fisico o per il modo di parlare.
  • Diffamazione
  • Esclusione per le proprie opinioni.
  • Aggressioni fisiche.

CONSEGUENZE:

L’incidenza del fenomeno è variabile a seconda degli studi, ma interessa tutti i Paesi del mondo. L’essere vittima di episodi di bullismo risulta significativamente associato a una compromissione dei livelli di funzionamento psicologico e di adattamento sociale e alla presenza di sintomi fisici e psicopatologici. Essere vittima di episodi di bullismo è, inoltre, un fattore predittivo per l’esordio di depressione, ansia, isolamento e ridotta autostima.

Diversi tipi di bullismo

CYBER BULLISMO

Quando le azioni di bullismo si verificano attraverso Internet (posta elettronica, social network, chat, blog, forum), o attraverso il telefono cellulare si parla di cyberbullismo.

CARATTERISTICHE:

Il cyber bullismo ha delle caratteristiche identificative proprie:

il bullo può mantenere nella rete l’anonimato, ha un pubblico più vasto, ossia il web, e può controllare le informazioni personali della sua vittima.

La vittima al contrario, non sempre ha la possibilità di vedere il volto del suo aggressore, e può avere una scarsa conoscenza dei rischi che si corrono nel condividere le proprie informazioni su internet.

Proprio per queste maggiori difficoltà da parte della vittima, talvolta essa può arrivare a compiere atti davvero tragici

Si può definire inoltre cyberbullismo l’uso delle nuove tecnologie per intimorire, molestare, mettere in imbarazzo, far sentire a disagio o escludere altre persone.  

Tutto questo può avvenire utilizzando diverse modalità offerte dai nuovi media. Alcuni di essi sono:

  • Telefonate
  • Messaggi (con o senza immagini)
  • Social network (per esempio, Facebook)
  • Siti di domande e risposte
  • Siti di giochi online

Le modalità specifiche con cui i ragazzi realizzano atti di cyberbullismo sono molte. 

Alcuni esempi sono:

  • pettegolezzi diffusi attraverso messaggi sui cellulari, mail, social network;
  • postando o inoltrando informazioni, immagini o video imbarazzanti (incluse quelle false);
  • rubando l’identità e il profilo di altri, o costruendone di falsi, al fine di mettere in imbarazzo o danneggiare la reputazione della vittima;
  • insultando o deridendo la vittima attraverso messaggi sul cellulare, mail, social network, blog o altri media;
  • facendo minacce fisiche alla vittima attraverso un qualsiasi media.

CONSEGUENZE:

La continua violenza e i comportamenti offensivi in rete possono generare un tale dolore tra i giovani coinvolti che più della metà di loro, il 52%, confessa di provocarsi del male fisico intenzionale.

Gli atti di autolesionismo avrebbero la funzione di alleviare, per quei pochi secondi, il disagio psicologico che sentono questi ragazzi.

Bullismo e omofobia

COS’E’?

Il bullismo omofobico utilizza il sessismo come arma di attacco.

La vittima viene completamente disumanizzata. Chi viene preso di mira sono i gay, lesbiche, transessuali o bisessuali. In questo contesto l’omosessualità diventa un qualcosa da denigrare, e questo viene fatto attraverso varie forme di violenza nei confronti delle persone omosessuali. I tipi di comportamento adottati variano dalle aggressioni fisiche (spinte, calci, pugni) fino all’esclusine sociale, che in diversi casi si è dimostrata più efficace di quella fisica.

CARATTERISTICHE:

Possiamo individuare 3 caratteristiche differenti del bullismo omofobico:

  1. una maggiore difficoltà a chiedere aiuto per la propria omosessualità
  2. le prepotenze mirano specificatamente la sfera sessuale, perché l’attacco è rivolto più alla sessualità che alla persona in sé
  3. la vittima trova con difficoltà figure protettive: infatti “difendere un gay” comporta il rischio di diventare vittima stessa.

CONSEGUENZE:

Le maggiori conseguenze dovute dalla discriminazione sessuale sono la riduzione delle opportunità individuali, sia in campo scolastico che lavorativo, e la riduzione della dignità. In altre parole, la discriminazione può portare a vivere la scuola con disagio, aumentando l’insicurezza personale e relazionale, con mancato proseguimento degli studi e maggiore difficoltà di inserimento nel mercato lavorativo.

IL BULLISMO FEMMINILE

CHE COS’È?

Il bullismo femminile è sempre più diffuso negli ambienti scolastici di ogni grado e può nascere fin dalla scuola elementare o addirittura dall’asilo. È messo in atto da ragazze, sempre più spesso bambine, che usano una forma di violenza psicologica, sottile e nascosta che può rimanere invisibile per giorni, mesi, anni agli occhi di adulti e genitori.

Il bullismo al femminile è un tipo di bullismo psicologico: molto spesso la stessa vittima non si rende conto di subire una vera e propria violenza. Anche le persone che la circondano non percepiscono i segnali e i sintomi di questo bullismo indiretto. Chi lo vive non ha segni visibili ma interiori. Non si tratta quindi di ferite come quelle lasciate da pugni o schiaffi, in quanto non è un bullismo fisico.

CARATTERISTICHE:

Ecco alcuni atti del bullismo femminile:

  • Pettegolezzi: Le bulle mettono in giro voci cattive (è strana, ha i pidocchi, puzza ecc.)
  • Isolamento: si forma un gruppo da cui la vittima viene esclusa. Nessuno deve rivolgerle la               parola o essere sua amica.
  • Umiliazioni sottili: Appena la vittima entra a scuola avverte che nessuno la vuole, si sente fuori posto. Riceve sguardi maligni, risatine, smorfie, occhiate minacciose, facce disgustate. Al suo passaggio tutte ridono guardandola dall’alto in basso.
  • Emarginazione: La vittima di bullismo femminile si sente esclusa. Nessuno si siede vicino alla vittima che viene esclusa da giochi, feste e da ogni attività di gruppo. Nessuno le rivolge la parola. La evitano e la trattano come se fosse “diversa”.
  • Perdita delle amicizie: Tutte le ragazze che aveva prima si allontanano per far pare del gruppo.
  • Tutti ignorano o allontanano la vittima quando si avvicina.

CHI È LA BULLA?

Chi mette in atto il bullismo femminile è una ragazzina apparentemente forte, che riesce ad influenzare gli altri. Veste i panni di una leader: detta le regole e tutti le seguono per far parte dal gruppo. La bulla è temuta dagli altri che preferiscono schierarsi dalla sua parte per non avere problemi.

Al di fuori viene vista come una ragazza vivace, irrequieta o al contrario può essere una ragazzina tranquilla, apparentemente innocua, brava a scuola. Quindi è ancora più difficile in questo caso dimostrare come una ragazza così riesca ad avere un comportamento cattivo. Non è raro che la bulla sia anche la preferita dai professori.

CONSEGUENZE:

Maltrattamenti psicologici infantili e ha lo stesse gravi conseguenze. In Italia è in crescita soprattutto tra i giovanissimi, dove 1 bullo su 3 è una ragazza.

Le bulle riescono ad individuare il punto debole della vittima e premono su questi tasti, si insidiano nella sua mente. Viene distrutta l’autostima. La sua visione di sé stessa e del mondo viene distorta: si sente sola al mondo e pensa di non avere nessuno.  Si convince di essere sbagliata, diversa. Incolpa se stessa e pensa che sia “normale” quello che vive, perché è lei ad avere qualcosa di strano.

Ecco in breve le conseguenze del bullismo femminile:

  • Perdita di autostima e crescente insicurezza
  • Attacchi d’ansia e di panico
  • Irascibilità e sbalzi d’umore (crisi di pianto-rabbia…)
  • Paure immotivate ed emotività eccessiva
  • Depressione e stress
  • Disturbi alimentari, perdita di appetito
  • Disturbi del sonno e incubi
  • Perdita di interesse nella scuola e paura di andarci
  • Comportamenti autolesionisti fisici o mentali (scagliare pensieri di odio verso se stessi e ripetersi “sono inutile”, “sono brutta” ecc..)
  • Pensieri legati al suicidio (“Se non ci fossi gli altri starebbero meglio”, “nessuno si accorgerebbe della mia assenza”)

CONSEGUENZE A LUNGO TERMINE:

Essere vittime di episodi di bullismo da bambini aumenta il rischio di sviluppare diverse tipologie di disturbo oltre che nell’infanzia e nell’adolescenza anche nell’età adulta. Ciò che numerosi studi hanno evidenziato è che le vittime di bullismo nel passaggio dall’adolescenza alla giovane età adulta continuano a presentare diversi disturbi; come ad esempio la paura degli spazi aperti, attacchi di panico, dipendenza e depressione.

Ciò che invece è ancor meno noto è che non solo essere vittime di bullismo aumenta la probabilità dell’insorgenza di disturbi, ma anche l’essere bulli.

STORIA DELL’ARTE

KEIT HARING

“Dipingo immagini che sono il risultato delle mie esplorazioni personali. Lascio ad altri il compito di decifrarle, di capirne simboli e implicazioni. Io sono solo il tramite.”

Keith Haring nacque il 4 maggio 1958 a Reading, in Pennsylvania

Suo padre è fumettista e già da piccolo Keith si interessa alla grafica paterna e alla comunicazione attraverso le arti figurative, mostrando un vivo interesse per l’Arte Moderna. Keith Haring elabora anche una propria filosofia dell’arte, la “Popular Art” che deve essere per tutti. La pop art presta attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società consumistica. L’aggettivo “popolare” deve essere inteso non come arte del popolo ma, come arte di massa, cioè prodotta in serie. La versatilità delle opere di Haring trascende i mezzi espressivi tradizionali, tanto che per dare sfogo al proprio estro artistico egli non esitò a sfruttare qualsiasi elemento avesse a portata di mano: le sue opere sono tacciate su muri, carrozzerie di automobili, teloni in vinile, capi di abbigliamento, carta, plastica recuperata dagli scarti, e tela. Haring, infatti, perseguiva un modello di “arte per tutti” desiderando di mettere le proprie opere a disposizione del più grande pubblico possibile; ciò era possibile soltanto portando l’arte al di fuori dei musei e dalle gallerie, e ignorando le regole imposte dal mondo del mercato.

Il pittore dipinge in metropolitana fino al 1986 e in molti si accorgono di lui, i tipici pupazzetti di Haring, le figure stilizzate che “abbracciano”, “amano” e “danzano”, sono conosciuti e amati dal pubblico.

Nonostante la sua morte prematura, l’immaginario di Haring è diventato un linguaggio visuale universalmente riconosciuto del xx secolo. Le sue opere fanno ricorso a uno stile immediato e festivo e sono popolate da personaggi stilizzati e bidimensionali, quali bambini, cani, angeli, mostri, televisori, computer, figure di cartoon e piramidi; iconico, in tal senso, è l’utilizzo di colori molto vividi e accattivanti che ricordano quelli usati dalla grafica pubblicitaria, e l’adozione di una spessa linea di contorno ridotta all’essenziale che circoscrive le figure.

La sua iconografia (“rappresentazione figurata” Il complesso dei motivi e criteri che distinguono e inquadrano l’immagine dal punto di vista culturale.) apparentemente infantile veicola massaggi semplici, chiari e immediatamente intellegibili che riguardano diversi temi scottanti della sua epoca, quali il capitalismo, il razzismo, l’ingiustizia sociale … non mancano di affrontare argomenti come l’amore, la gioia, la felicità

CARATTERISTICA PRINCIPALE: i suoi quadri non hanno titoli, spetta al pubblico l’interpretazione.

In questo quadro possiamo notare sia immagini che parole. La frase IGNORANCE = FEAR (l’ignoranza equivale alla paura) mette in risalto l’opera sottolineando come il non essere informato crei paure inutili. Segue la rappresentazione di tre omini che si identificano nel famoso detto  “non vedo, non sento, non parlo” ancora a sottolineare che il non voler sentire e ascoltare genere ignoranza e quindi paura.

 IL SILENZIO = MORTE è la riprova dello stesso concetto. In particolare questo quadro denuncia la situazione sociale in cui l’AIDS era ancora considerato un tribù.

In questo caso, lo stato è raffigurato sottoforma di un lupo che divora e maltratta il popolo, o in questo caso, due omini. È interessante la scelta di Keith di rappresentare lo stato proprio come un lupo. Perché d’altronde il lupo è uno dei mammiferi più protettivi nei riguardi dei propri cuccioli, dall’altra, nel momento in cui percepisce il controllo viene a mancare trasformandosi in una belva capace di divorare e distruggere tutto ciò che lo circonda.

MUSICA

“La musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori.”
                                                                                     (Johann Sebastian Bach)

STORIA DEL RAP:

Il rap nasce come parte di un movimento culturale più grande chiamato “hip-hop” nato negli Stati Uniti d’America verso la fine degli anni sessanta e diventato parte di spicco della cultura moderna. Il rap consiste essenzialmente nel “parlare” seguendo un certo ritmo; questa tecnica vocale è eseguita da un MC (freestyler), mentre il DJ accompagna l’MC. Questa cultura è nata presso la comunità afroamericana e latinoamericana di New York nei primi anni sessanta, come un riadattamento americano del DJ stile, uno stile di raggae giamaicano ritenuto il principale precursore di questo genere. Tipicamente il rap consiste di una sequenza di versi molto ritmati, incentrati su tecniche come rime baciate, assonanze ed allitterazioni. Chi scandisce tali versi, cioè il rapper, lo fa su una successione di note (Beat) realizzata tramite il beatmaking, suonata da un DJ e fornita da un produttore o più strumentisti. Questo “Beat”  è spesso creato usando un campionamento percussioni stico di un’altra canzone, generalmente funk o soul.  Le tematiche dei testi variano a seconda dei numerosi sottogeneri anche se alle origini il rap nasce come forma di protesta e denuncia contro alcuni aspetti della società.

MARCO BARUFFALDI

Il testo che ho scelto di analizzare è contro il bullismo. Che tipo, Marco Baruffaldi. Sguardo sempre acceso dietro un paio di occhiali dalla montatura scura, cappellino con la visiera girata dietro, una determinazione che anima ogni suo gesto. Ha 21 anni, è di Castelfranco D’Emilia, ha la sindrome di Down e per lungo tempo è stato vittima del bullismo, della vigliaccheria, dell’ingiustizia sociale. Però Marco non si è lasciato abbattere, anzi. Quelle brutte esperienze, le cattiverie subìte l’hanno reso di forte. Ha coltivato la sua passione per la musica, ha cominciato a studiare da rapper. Canta, Marco, e suona la batteria

Ha inciso una canzone, poi due, poi – lo scorso dicembre – è arrivato il suo primo CD. Contiene due brani; il primo, Siamo diversi tra noi, “parla – spiega lo stesso Marco – di atti di bullismo e di disabilità. Mi piacerebbe che diventasse un inno alla disabilità“. Il secondo titolo è dedicato invece a suo fratello Simone. “I proventi del CD – fa sapere inoltre Marco – saranno destinati al comitato Diversamente abili diversamente arte’ per il progetto legato al DOPO DI NOI. L’intento del progetto è creare un’azienda condotta e gestita (autosufficiente) da personale disabile (ciechiautistici, non deambulanti, etc…)“. “fin da piccolo, spiega il 22enne , a scuola, sono stato maltrattato brutalmente. Un ragazzino mi picchiava continuamente, mi minacciava. E ho subito di peggio da un insegnante di sostegno: mi prendeva a sberle, mi pestava i piedi, mi insultava. Mi seguiva con l’auto per minacciarmi, perché non voleva che lo dicessi ai miei genitori. E io, non ho mai detto niente”

L’appello si chiude con il 22enne che rende pubblici i propri contatti affinché le vittime lo chiamino: “spero così di poter aiutare qualcun altro, un bambino o un ragazzo vittima di bullismo e violenza. Mi rivolgo a loro: non arrendetevi mai, parlatene con i vostri genitori e professori, non fate il loro gioco. Ancora oggi sono pentito di non avere parlato con i miei quando è successo a me: era quello che avrei voluto e dovuto fare, ma la paura mi aveva bloccato.”

SIAMO DIVERSI TRA NOI

Ah, ehi sai ci sono anch’io

A questo mondo, a questo mondo servo pure io, servo pure io

Guardami, ascoltami, anche io provo dolore, provo emozioni;

anche io provo l’amore, sai come ci si sente, sente

se ti fan capire che non servi proprio a niente

e io dico no, no , no.

Ci sono anch’io a questo mondo, servo pure io, servo pure io 

e sai cosa ti dico ? che il mondo fa schifo, schifo, schifo.

La mia diversità, è la mia qualità.

E se questo tu non sai, amico mio non sarai mai, mai.

Sai cosa mi chiedo, chiedo, chiedo?

 Dove sarò domani, dove sono i miei piani, dove saranno i miei sogni, sogni, sogni.

Tendimi le mani, tendimi le mani

Non giudicare il mio corpo anche se è un po’ storto;

 io abito qua ma differenza non fa.

Anche perché tu non sei uguale a me, se mi aiuterai, tu, diverso non sarai;

guardami, ascoltami…

anche io provo dolore, provo emozioni

anche io so dare amore, amore, amore…

non sfottermi dai, non sfottermi mai, mai

io ho bisogno oggi, oggi, oggi.

Siamo diversi tra noi, siamo diversi tra noi

Tendimi le mani

non giudicare il mio corpo, anche se è un po’ storto

io abito qua, abito, ma differenza non fa

ci sono anch’io 

a questo mondo, servo pure io, servo pure io

e sai cosa ti dico?

Che il mondo fa schifo,

la mia diversità, è la mia qualità.

E se questo tu non sai, amico mio, non sarai, mai.

ED.FISICA
LO SPORT, UN AIUTO CONTRO IL BULLISMO.

Ci sono due punti di vista differenti per quanto riguarda lo sport e il bullismo. Da una parte esistono realtà sportive in cui il bullo trova lo spazio per agire, dall’altra lo sport può essere un’ottima soluzione per aiutare il bullo a rispettare sé stesso e gli altri. 

Proseguendo la lettura potrete trovare un’intervista fatta al dott. Stefano Favaretto, psicologo e collaboratore volontario dell’associazione La Strada-Der Weg che si occupa di fornire assistenza anche alle vittime di bullismo

Nello sport come può esprimersi la violenza all’interno della squadra?

In un gruppo sportivo ci possono essere ragazzi e adulti che usano un comportamento violento che non necessariamente è stato appreso nell’ambiente sportivo, ma che deriva da una serie di esperienze al di fuori di un contesto sportivo stesso. 

Questa violenza può essere riscontrata in diverse situazioni: 

da una parte di un/a giovane verso gli altri compagni di squadra (fenomeni di derisione nei confronti di compagni di squadra più deboli)

da parte di un/a giovane verso gli avversari (fare male intenzionalmente)

da parte di un allenatore nei confronti dei propri giocatori (urlare addosso, deridere pubblicamente, denigrare il giocatore, ecc…)

da parte di un genitore tifoso che si accanisce contro il figlio, gli avversari, l’allenatore e l’arbitro.

E per quanto riguarda il bullismo?

All’interno di una squadra possono verificarsi episodi di bullismo, i quali non hanno a che fare con lo sport in questione ma col fatto di appartenere ad un gruppo che mette in atto dei rituali. Comunque; in questi casi ci sono sempre una o più vittime designate che sono oggetto di scherno e prepotenza in modo continuativo. Solitamente i ragazzi più scarsi/deboli della squadra, sono quelli presi di mira.

Spesso il bullo sente il bisogno di sfogare i propri sentimenti e le proprie emozioni. Lo sport può essere la strada giusta per incanalare questo bisogno nello sforzo fisico invece di riversarlo sulle persone. Tutti gli sport, specie quelli che permettono lo sfogo di queste “energie extra” (come quelli di contatto: dalla lotta, alla box, alle arti marziali, ecc.) fanno sì, che questa più o meno nascosta aggressività trovi una via di sfogo accettabile, in un contesto sociale con regole e strutture condivise alle quali anche il più incallito ribelle deve sottostare. Uno dei vantaggi è la crescita e un cambiamento nell’atteggiamento del bullo.

IL RUOLO DELL’ALLENATORE

È importante da parte dell’allenatore valutare sempre molto attentamente il modo in cui si relaziona con i ragazzi e soprattutto gli effetti di questo rapporto. Un allenatore è un educatore a tutti gli effetti. Insegna a rispettare le regole, ad avere rispetto per l’avversario, ad avere disciplina non solo nel corpo ma anche nella mente. Diventa una presenza fondamentale nella vita dei propri atleti diventando per loro un punto di riferimento per la propria crescita personale.

Il bullismo nello sport si manifesta quando si ricerca la prestazione a tutti i costi, esaltando solo l’attività sportiva orientata al risultato agonistico e arrivando a giustificare ogni mezzo utilizzato (anche illecito) pur di conquistare la vittoria. Ma questo non è ciò che lo sport vuole insegnare.
La competitività in se non è affatto da condannare. Lo è invece il suo eccesso, una delle componenti che, ponendo il bullo a suo agio in un clima di tolleranza verso la sopraffazione, potrebbe favorire il nascere di episodi di bullismo. Quando la competizione è percepita come confronto positivo con se stessi e con gli altri, intesi come atleti con cui confrontarsi e misurare le proprie prestazioni, allora essa diventa un potente strumento capace di educare.
Lo sport, in questo senso, può e deve assumere un ruolo rilevante nella vita dei giovani. Lo sport è in grado di insegnare molte cose a chi si avvicina ad esso con spirito costruttivo e positivo: insegna ad affrontare la  vita, a relazionarsi con gli altri, a mettersi sempre in discussione; insegna ad accettare la sconfitta e a superare gli insuccessi; insegna lo spirito di sacrificio e che ad ogni sacrificio corrisponde un vantaggio; insegna… a non arrendersi mai.

GEOGRAFIA
L’UOMO, IL BULLO DELLA TERRA.

Da sempre l’uomo, per soddisfare i suoi bisogni, utilizza le risorse che gli offre la natura.

Lungo i secoli, questo sfruttamento da parte dell’uomo, si è sviluppato e dilatato senza rispettare alcun limite: da una parte l’uomo ha continuato a saccheggiare e violentare la natura come se fosse un tesoro  infinito, senza fine, dall’altra ha aumentato i suoi interventi e le sue attività produttive inquinando l’acqua, l’aria e il suolo. Oggi, finalmente, si è compreso che i problemi ambientali sono tutti legati tra loro: la deforestazione incontrollata delle grandi foreste, crea effetti negativi sull’atmosfera, sui suoli (che subiscono l’erosione), sulla biodiversità del pianeta (perché si estinguono specie vegetali e animali). Per troppo tempo, l’uomo si è comportato con la terra proprio come un bullo che con la prepotenza porta via ciò che è più importante.

LA PRESSIONE DELL’UOMO SULLA TERRA

Ogni ambiente naturale è in grado di ricostruire le risorse che gli vengono sottratte dall’uomo, solo se il prelievo è proporzionato alle sue capacità di rigenerazione. Oggi l’uomo preleva dall’ambiente quantità di risorse superiori a quelle che l’ambiente stesso può rigenerare, creando enormi problemi ambientali e rischiando di provocare entro breve, l’esaurimento delle risorse disponibili. L’uomo con grande superficialità e poca attenzione rischia così di provocare gravi danni per l’acqua, le foreste e il terreno.

Nei luoghi in cui il consumo d’acqua è superiore alla disponibilità locale si verifica il cosiddetto STRESS IDRICO. A volte esso è generato o aggravato da una cattiva gestione della risorsa per esempio la dispersione idrica causata da impianti di irrigazione difettosi o usati in malo modo. Peggio è quando la responsabilità è individuale e lo spreco avviene quotidianamente in ambito domestico. Ogni anno scompaiono almeno 90000 chilometri quadrati di foresta, una superficie paragonabile al Portogallo. La deforestazione colpisce soprattutto le foreste pluviali che sono sfruttate in modo incontrollato e, spesso, abusivo.

Per la prima volta in tre anni la deforestazione in Brasile ha ricevuto una battuta d’arresto, registrando un 16% in meno rispetto al 2016. E’ quanto emerge dall’ultima conferenza stampa tenuta dal Ministro dell’Ambiente Jose Sarney Filhoche imputa questo segnale positivo al rafforzamento dell’applicazione delle norme di controllo e al monitoraggio in tempo reale della deforestazione. 

“Il controllo aiuta ma non è la soluzione finale. La deforestazione terminerà solo quando alla foresta sarà riconosciuto il suo valore – ha dichiarato il Ministro durante l’incontro con la stampa – Stiamo raggiungendo il limite. Se non verranno rispettati gli accordi internazionali e i pagamenti per i servizi ambientali, sarà molto difficile mantenere il trend registrato”, riferendosi al sostegno finanziario concesso ai proprietari terrieri per salvaguardare la foresta presente sulla loro terra.

Agire pensando al tornaconto di pochi o farlo in nome di una volontà non ben definita di risolvere il problema non rappresenta la soluzione per tutti. Laddove i proprietari terrieri, i politici e le multinazionali si spartiscono gli introiti, di cui l’intera comunità inevitabilmente è responsabile, i superstiti dei villaggi nell’Amazzonia lottano per conservare tradizioni e usanze, oltre la loro stessa sopravvivenza. 

Molte foreste, anche se salvaguardate nel loro utilizzo, sono state fortemente danneggiate dalle piogge acide provocate dall’inquinamento dell’aria.

Tutto questo, sommato allo scarico di sostanze tossiche nell’ambiente, ha portato la terra a subire un grave danno: L’INQUINAMENTO.

Esso è l’introduzione di sostanze tossiche allo stato solido, liquido, gassoso nell’ambiente. L’inquinamento dell’aria è provocato dalle emissioni delle industrie, dei veicoli a motore e degli impianti di riscaldamento. L’aria delle grandi città è ormai formata da una micidiale miscela di diossido di carbonio, ossidi di azoto e polveri sottili. Queste possono causare tumori e gravi malattie all’apparato respiratorio. Il diossido di carbonio e l’anidride solforosa, ricadono al suolo sottoforma di piogge acide. Questa concentrazione di sostanze nell’atmosfera è stata messa in relazione al riscaldamento globale e al cosiddetto “buco nell’ozono.” Molte industrie producono liquidi contenenti  alte concentrazioni di sostanze chimiche. Se questi liquidi finissero nelle acque di fiumi o canali, potrebbero distruggere ogni forma di vita acquatica e rendere l’acqua inutilizzabile per gli usi domestici e per l’agricoltura. Lo stesso effetto hanno i pesticidi utilizzati in campo agricolo. Le forti concentrazioni di fertilizzanti, insieme agli scarichi fognari delle città, invece, provocano il fenomeno dell’eutrofizzazione, ossia lo sviluppo abnorme  di alcune specie di alghe che rendono impossibile la sopravvivenza di altre forme di vita acquatica.

Anche il terreno, purtroppo, subisce la stessa violenza:

i residui liquidi e solidi scaricati dalle industrie direttamente sul terreno lo rendono inadatto alla crescita delle piante. Inoltre, essi penetrando nel terreno  disciolti dall’acqua piovana, raggiungono le falde acquifere inquinandole. L’enorme quantità di rifiuti prodotti nelle città vengono accumulati in discariche, che hanno un fortissimo impatto ambientale, oppure vengono bruciati, con conseguente aumento di emissioni nocive

IL RISCALDAMENTO GLOBALE E IL BUCO NELL’OZONO

Nell’ultimo secolo la temperatura media registrata sulla terra è aumentata di poco meno di un grado e si prevede un aumento tra 1 e 6 gradi entro la fine del XXI secolo. Sulle cause di questo aumento  gli esperti  sono divisi: alcuni ritengono che si tratti di una variazione naturale. La maggior parte degli studiosi, tuttavia, mette in relazione il riscaldamento del clima con l’aumento dei gas serra nell’atmosfera, dovuto all’aumento delle emissioni di diossido di carbonio da parte delle attività umane. L’aumento di questi gas potenzierebbe l’effetto serra naturalmente svolto dai gas presenti nella troposfera, riducendo la quantità di calore disperso e facendo quindi aumentare la temperatura. Un aumento di temperatura, anche di un solo grado, può alterare il clima del pianeta, mutando la circolazione dei venti, facendo scogliere i ghiacciai  di montagna e i ghiacciai dei poli. Una conseguenza catastrofica dello scioglimento dei ghiacciai è l’aumento del livello dei mari che sgombrerebbero molte regioni  costiere. Verrebbero alterate anche la salinità e la densità dell’acqua marina. Rallentando o addirittura la cala corrente del golfo: ciò causerebbe un forte abbassamento della temperatura nelle regioni europee affacciate sull’atlantico settentrionale.

Il sottile strato di ozono, che si trova nella parte alta della stratosfera, svolge una funzione importantissima di filtro delle radiazioni nocive, in particolare dei raggi ultravioletti, che sono estremamente pericolosi per la salute dell’uomo e di molti esseri viventi. A partire dagli anni 80, alcuni scienziati, resero noto che la quantità di ozono si stava riducendo; tale riduzione è continuata negli anni successivi. La maggior parte degli esperti è d’accordo nell’individuar quale causa della riduzione dell’ozono i clorofluorocarburi o CFC: si tratta di gas utilizzati soprattutto per gli spray e nei sistemi refrigeranti, come i frigoriferi. Questi gas, reagiscono con l’ozono, trasformandolo in ossigeno, le cui molecole non sono in grado di fermare i raggi ultravioletti. Per questo motivo la produzione e l’uso di CFC sono quasi cessati, ma ci vorrà ancora parecchio tempo prima che il fenomeno si arresti.

STORIA
I MASS MEDIA

LE CARATTERISTICHE DI UN CAMBIAMENTO PLANETARIO

Gli ultimi decenni del XX secolo sono stati testimoni di una trasformazione tecnologico-scientifica di portata epocale; è stata definita, forse in modo improprio, terza rivoluzione industriale perché si è voluto paragonare il suo forte impatto sulla vita economica e sociale di tutti noi a quello che ebbero come protagoniste la macchina a vapore per la prima e l’elettricità e il petrolio per la seconda. Il settore trainante della nuova rivoluzione è l’informatica. Le caratteristiche principali di questa epoca di grandi trasformazioni sono:

  1. L’importanza del settore terziario supera quella del settore secondario ed il settore alternativo (informatica-robotica-nanotecnologica-bioingegnieria-intrattenimento) supera il settore terziario tendenzialmente.
  2. Il mercato del lavoro diventa flessibile e mobile
  3. La ricerca scientifica e tecnologica diventa un lavoro collettivo: artefice non è solo il singolo scienziato, le innovazioni e le scoperte nascono da un lavoro d’equipe
  4. fondamentale, da poter essere definita epocale, è la rivoluzione del computer, grazie al quale l’informatica diventa il settore trainante dell’economia
  5. i monopoli e gli oligopoli si affermano su scala mondiale, come conseguenza di potenziamento rafforzando il potere delle multinazionali
  6. la società di massa diventa un villaggio globale: i movimenti di persone, capitali, merci,  non hanno più confini e la diffusione di notizie è immediata e capillare.
  7. grazie alla capacità di analisi dei dati del computer, a tecnologie sempre più avanzate e all’ingegneria genetica, la ricerca medica raggiunge frontiere prima impensabili. Sviluppo di settori di cura (aumento in percentuale di anziani, nuovi business, bioingegneria (genoma), biomedicale (macchine a supporto di chirurgia, bigfarma…)
  8. inizia il dibattito sulla salvaguardia dell’ambiente
  9. forti investimenti statali e privati nella formazione, soprattutto intreccio “ricerca e sviluppo”, con laboratori d’università.

IL COMPUTER SIMBOLO DI UNA NUOVA ERA

Come tutti i grandi cambiamenti della storia, anche la terza rivoluzione industriale affonda le sue radici in avvenimenti più lontani, in questo caso nella costruzione del primo calcolatore elettronico (le sue dimensioni erano uguali a quelle di una grande stanza) realizzato negli Stati Uniti nel 1946, e, dalla metà degli anni ’70, nei primi personal computer per uso privato. Il computer, simbolo della nuova era, ha avuto e ha tutt’ora un impatto molto forte sull’economia mondiale, poiché lo stravolgimento tecnologico che ha comportato si è esteso praticamente in ogni angolo della terra, modificando il nostro modo di lavorare, di comunicare e anche di pensare.

LA RETE GLOBALE INTERNET

Le applicazioni del computer sono molto vaste e molto varie: negli uffici e nell’industria, dove hanno dato via alla robotica; nell’informazione l’applicazione del computer ha reso possibile la telematica (dal greco tele= distanza, più informatica) grazie alla quale milioni di persone in tutto il mondo hanno la possibilità di conoscere  in tempo reale avvenimenti che accadono in ogni altra parte del globo e di diagonale tra loro (si pensi ai cellulari,sempre più sofisticati). Di enorme importanza è a questo proposito internet, che consente non solo di avere una “finestra” aperta sul mondo, ma di essere in contatto continuo con migliaia di persone grazie ai social network. Proprio per questo motivo internet può essere considerato il più grande strumento di circolazione delle idee e di confronto attivo che sia mai esistito. Ha enormemente velocizzato i movimenti di finanza in borsa, a volte guidati da sistemi autoprogrammati. Ciò ha posto grossi problemi di controllo.

Anche l’economia tradizionale si è modificata: sono nate nuove aziende che offrono servizi in rete (online) e che in poco tempo sono diventate importanti realtà economiche, raggiungendo talora consistenti quotazioni in borsa; si tratta della cosiddetta new economy, che si basa, per il suo sviluppo, sulle nuove tecnologie informatiche e telematiche gestibili su internet; in questo modo vengono abbattuti i costi di gestione (non c’è bisogno di una sede materiale per la società o per l’esercito commerciale) ed è possibile espandere su tutto il pianeta la propria attività.

SCIENZE

L’INFLUENZA DELLE NUOVE TECNOLOGIE SUL CERVELLO

McLuhan sosteneva che il medium influenza il modo di pensare e che l’ascesa di Internet sia stato un cambiamento culturale dai risvolti più ampi di quelli che potessimo pensare. Ma cosa accade a livello cerebrale? Nuovi studi svelano l’influenza delle Nuove Tecnologie direttamente sul cervello. Spesso, si sottolinea il timore di essere troppo dipendenti da quest’ultime. Se lasciamo il telefono a casa dobbiamo assolutamente tornare a prenderlo; se abbiamo un dubbio lo sveliamo in Rete, le ultime novità le raccontiamo sui social e così via.

Ma abbiamo realmente perso tante capacità influenzando l’evoluzione delle nostre strutture cerebrali? Le Nuove Tecnologie possono influire direttamente sul cervello?

L’evoluzione del cervello

Indubbiamente le strutture cerebrali sono frutto di un percorso di sviluppo e adattamento alla realtà e oggi si trovano a dover fronteggiare dei cambiamenti dai ritmi velocissimi.

Probabilmente occorrerebbe più tempo per adattarsi alle novità, ma siamo sicuri che siano davvero contro-natura nonostante la facilità con cui le usiamo? Non è forse più una questione di non abbandonare i vecchi percorsi di pensiero e cercare ogni tanto di orientarsi alla vecchia maniera, ad esempio? L’evoluzione del cervello non è interrotta, forse occorre riflettere maggiormente sul tipo di ambiente cui ci vogliamo adattare.

Cosa cambia nell’apprendimento?

La domanda successiva che possiamo porci a questo punto riguarda i cambiamenti che possono subire dei cervelli infantili che sin dall’inizio hanno a che fare con queste tecnologie.

In effetti il cervello è l’organo che giunge per ultimo a piena maturazione perché continua a modificarsi fino all’adolescenza ed è impensabile che in questo lasso di tempo non impari dalla realtà con cui ha a che fare. Prima di fare ulteriori considerazioni occorre però distinguere l’uso di tecnologie quali il computer o il touchscreen dalla frequentazione a scopi didattici di un ambiente quale internet.

Gli studiosi del Cohen Medical Center hanno indagato gli effetti della tecnologia touchscreen in bambini di 65 coppie. I genitori in questione hanno permesso l’accesso a questa tecnologia ai loro figli a 11 mesi per circa 17 minuti per attività educative: guardare show o applicazioni con giochi educativi.

Questa attività pur avendo lo scopo di facilitare l’apprendimento pare aver interferito con lo sviluppo del linguaggio che si è manifestato in ritardo. Secondo il coordinatore Ruth Milanaik il problema non risiede tanto nell’uso di questi strumenti, ma nella sostituzione delle attività “normali” (come parlare al proprio bambino e farlo partecipare alle conversazioni) che costituiscono un background fondamentale.

Da questa breve rassegna emerge quindi tutta la plasticità del cervello ad imparare percorsi di apprendimento nuovi, sebbene sarebbe meglio allenare anche i vecchi!

“Scoprire che il cervello è plastico – ha affermato de Kerckhove – è una delle più grandi rivelazioni del nostro tempo. Questa consapevolezza va contro ben 400 anni di storia in cui si è sempre pensato ad esso come una macchina rigida e non come a quello splendido strumento di flessibilità che oggi conosciamo”.

Come la tecnologia sta plasmando il cervello?

Modifiche sostanziali a carico delle nostre capacità empatiche

Se il mondo come lo conosciamo non sarà più lo stesso grazie alle nuove tecnologie, lo stesso assunto vale anche per noi stessi. Computer, smartphone, tablet, con il loro corollario di applicazioni, social network e chi più ne ha più ne metta, stanno riuscendo laddove hanno fallito filosofi e ideologi: la creazione di un uomo nuovo. Perlomeno da un punto di vista cerebrale.
Una sperimentazione condotta nei laboratori della Stanford University rivela dettagli interessanti e per certi versi inquietanti del profluvio di tecnologia che sta invadendo le nostre vite. 70 persone sono state sottoposte a una simulazione: la metà poteva volare grazie a un elicottero virtuale, l’altra metà era in grado di fare lo stesso senza alcun ausilio, alla stregua di un supereroe. L’obiettivo era trovare e mettere in salvo un bambino rimasto solo durante un terremoto. Terminata la simulazione, un ricercatore ha finto di far cadere inavvertitamente un portapenne. Negli studi di carattere sociologico, è il tipico strumento per valutare il grado di altruismo nel soggetto studiato. Il risultato è che i volontari che avevano sperimentato il volo in forma “autonoma” hanno reagito immediatamente per cercare di raccogliere le penne prima che cadessero per terra. La loro reazione è stata 4 secondi più veloce di quella dei volontari che avevano volato con l’elicottero.

Robin Rosenberg, uno psicologo di San Francisco che ha partecipato all’organizzazione del test – pubblicato sulla versione on line di Plos One -, spiega intervistato dal Financial Times: “se stai volando ti senti in grado di fare qualsiasi cosa, e la sensazione di potenza rende le persone più generose ed altruiste. È probabile, inoltre, che il desiderio di rendersi utili fosse direttamente collegato, in maniera conscia o inconscia, a un’immagine di sé simile a quella dei supereroi”.

Il test mostra tutto il potere condizionante degli strumenti tecnologici sul cervello umano. Ma questo potere ha le sue regole e i suoi effetti collaterali. La preoccupazione è infatti che la nostra empatia e i nostri percorsi emotivi vengano pian piano cancellati, rendendoci sempre più simili alle macchine che utilizziamo per ottenere informazioni e per divertirci.

“Stiamo creando un paradiso per persone con la sindrome di Asperger”, dice provocatoriamente Jaron Lanier, un esperto che lavora nella Silicon Valley, il noto distretto ultra-tecnologico dove prendono forma gran parte degli strumenti e delle applicazioni che utilizziamo quotidianamente. “Non credo che stiamo diventando stupidi, ma penso che ci stiamo trasformando in esseri più limitati”.

Internet e i social network in particolare, spiega Lanier, sono orientati verso le altre vite, e ciò favorisce sensazioni e pensieri oggettivi e quantitativi più che soggettivi e qualitativi. La tecnologia riflette il pensiero analitico degli ingegneri che la creano, ma non riesce a cogliere tutti quegli elementi preminentemente umani della vita di tutti i giorni. Il risultato è che la tecnologia sta riducendo la gamma delle possibilità cognitive, un po’ come avviene in agricoltura, quando la coltivazione intensiva di un prodotto sulla stessa terra, anno dopo anno, riduce la ricchezza della terra stessa e ha come esito finale la produzione di piante sempre più deboli.

“Stiamo creando una sorta di mono-cervello”, spiega ancora Lanier. “Stiamo perdendo un po’ di empatia e la stiamo sostituendo con l’etica. In altre parole, per comportarci in maniera carina verso gli altri abbiamo sempre più ragioni di ordine logico e sempre meno ragioni di ordine emotivo”.

A quanto pare, stiamo diventando anche sempre più timidi. Un altro studio segnala la predilezione degli studenti universitari di inviare messaggini ai propri compagni che vivono nella stessa residenza, un sistema, a loro avviso, meno rischioso e complicato rispetto alla visita nella stanza e quindi al contatto reale con la persona. Ciò che preoccupa gli psicologi è che evitare queste situazioni possa far perdere ai giovani l’opportunità dell’“allenamento” emotivo che deriva dall’interpretare le espressioni facciali delle altre persone e il loro comportamento.

Tuttavia, ci sono anche esperti che sottolineano come questi cambiamenti siano marginali e comunque trascurabili rispetto alle nuove opportunità di sviluppare la propria intelligenza assicurate dalle nuove tecnologie. Fra questi, Mike Anderson, professore di psicologia e scienze cognitive presso il Franklin & Marshall College, in Pennsylvania. Secondo Anderson, il nostro cervello si adatta di volta in volta alle novità offerte dalla tecnologia, così come è avvenuto in passato, ad esempio quando l’uomo ha conquistato la capacità di esprimersi in un linguaggio codificato o quando ha cominciato a studiare la matematica e le sue leggi. In quest’ottica, i computer sono soltanto il passo più recente della nostra storia evolutiva.

“Non ci sono differenze sostanziali fra un iPad o un iPhone e carta e penna. Se esistesse veramente una tecnologia in grado di cambiarci radicalmente e di influenzare il nostro cervello, tale tecnologia non verrebbe utilizzata”, spiega Anderson.

Rassicurazione che non convince Naomi Baron, professore di Linguistica presso l’American University di Washington, che prende ad esempio l’ormai classico confronto fra leggere un libro e leggere quello stesso testo su un supporto elettronico. “Quando leggiamo un e-book su un tablet siamo interrotti continuamente da messaggi, mail o dalla semplice tentazione di controllare Facebook. Inoltre, quando leggiamo su uno schermo perdiamo molte cose: la concentrazione e la tendenza a riflettere su quanto abbiamo letto, e la capacità di rilassarci”.

Viviamo cioè un’esperienza di lettura superficiale. E la superficialità è l’accusa che viene lanciata da molti anche nei confronti dell’informazione 2.0. I social network ci danno la possibilità di essere sempre informati su quanto accade nel mondo, com’è avvenuto per la cosiddetta primavera araba, ma non riescono a comunicare tutta la vasta gamma di sentimenti ed esperienze che soltanto il contatto diretto con una persona che ha vissuto quegli avvenimenti può assicurarci.

Ma i tecno-entusiasti non si rassegnano, e sono convinti che la risposta a questi dubbi e a queste sollecitazioni verrà ancora una volta dalla tecnologia. Alcuni studi, infatti, hanno già dimostrato l’utilità della realtà virtuale proprio per stimolare lo sviluppo di risposte empatiche in soggetti pieni di stereotipi e pregiudizi.

«Le nuove tecnologie? Non cambiano il cervello ma il modo di comunicare»

Il neuroscienziato Andrea Moro, ospite di De Agostini Scuola: «I social danno l’illusione dell’interazione e impoveriscono la pratica della comunicazione. Ma temere che la tecnologia cambi il cervello è come pensare che la bicicletta atrofizzi le gambe»

L’apprendimento passivo delle nuove tecnologie avrà ripercussioni sulle giovani menti?

«Temere che la tecnologia cambi il cervello è equivalente a pensare che la bicicletta atrofizzi le gambe. Il cervello cambia per altri motivi. Le tecnologie sono solo un mezzo in più per reperire informazioni». 

I social network hanno cambiato il nostro modo di comunicare?

 «In parte sì. I social danno l’illusione dell’interazione, ma questo non tocca il linguaggio. Le persone hanno paura che l’italiano si deteriori a causa delle abbreviazioni o degli slang usati sui social. Ma la lingua è fatta da chi la parla. La tecnologia non tocca il codice verbale. La pratica dell’interazione si è impoverita, ma il linguaggio comunicativo è rimasto invariato, al massimo si può dire che la lingua si sia trasformata».

Quant’è importante per i ragazzi comunicare?

«Il linguaggio è fondamentale. Dobbiamo ricordarci che il linguaggio rimane la nostra unica vera arma di contrattazione. Padroneggiare le parole è essenziale al giorno d’oggi; vuol dire anche essere in grado di accorgersi dei “tranelli” verbali dei discorsi, politici e non». 

I dati parlano di un numero sempre minore di lettori forti in Italia. Come si avvicinano gli studenti alla lettura?

«Il primo passo è stimolare loro la curiosità. Imporre la lettura incondizionata di un tomo da 1000 pagine equivale a una violenza fisica. Bisogna incuriosirli, iniziando magari facendogli leggere quello che preferiscono, e solo dopo suggerire altri testi, più classici». 

Bullismo: come cambia il cervello della vittima

Il bullismo può lasciare cicatrici durature nel cervello

La ricerca sul cervello sta rivelando che il bullismo non è solo una sfortunata circostanza a cui si è esposti durante la crescita. Essere vittime di bullismo può infatti causare cambiamenti a lungo termine nel cervello che possono provocare deficit cognitivi ed emotivi e disturbi comportamentali simili a quelli che si osservano sui minori abusati. Alcuni esempi sono l’ansia, la depressione, la scarsa autostima e l’abuso di droghe.

Il bullismo affligge lo sviluppo nervoso

Il bullismo può alterare i livelli degli ormoni dello stress. Lo stress causato dall’essere vittima di bullismo può infatti interferire con lo sviluppo del cervello.

Bullismo e comportamenti aggressivi: cosa accade nel nostro cervello?

I comportamenti aggressivi provocano gratificazione in chi li mette in atto, in quanto stimolano il sistema cerebrale della ricompensa: chi agisce, dunque, arriva a sperimentare e provare piacere nel vessare i più deboli. Meccanismi, questi, che possono giocare un ruolo chiave anche nel favorire la ripetizione di comportamenti aggressivi, esattamente come accade per le dipendenze.

INGLESE: BULLYING. 

Bullying. Say horrible things to people, laughing at them, or sending nasty text  messages. Refusing to talk to them or hurting them and damaging their things. It can happen because of your skin colour, your religion or your looks, because you are different, or even because you are a good student.

School should be a place where students feel safe. Unfortunately, it is also a place where bullying happens a lot. And students who are the victims of bullying feel frightened, lonely and depressed.

People who bully do it for different reasons. They might want to look big or impress their friends, they might have personal problems, they might not know it is wrong. But that doesn’t make bullyng right, of course.

If you are the victim of bullying, or a friend of a victim, don’t try to fight back on your own. You can talk to a teacher who you know, or tell your parents. And don’t answer nasty text messages. You can report rude chatroom comments to internet providers and phone companies can block callers and most schools have lessons which help students talk about bullying. There are also internet sites and helpines that give advice. So you are not alone.

FRANCESE

POUR DIRE NON À LA VIOLENCE AU COLLÉGE!

Tu as parlè à tes parents de tes problèmes de racket?

Non, mais je crois qu’ils se doutent de quelque chose.

Pour arreêter la violence il faut commencer par la dénoncer.

Victime ou temoin de violence, il faut parler.

Mais comment t’y prendre? Qui t’adresser?

Voici quelques conseils.

● Nen reste pas seul face à la violence.

Tu as été témoin ou victime de quelque chose d’enneyeux ou de grave? Ne garde pas Ça pur yoi seul.

● Va voir un adulte du collège.

Il faut en parler à un prof ou au principal. Si tu préfères ne pas être seul, demande à un copain ou au délégué de classe de t’accompagner.

● Confie-toi à tes parents.

Si tu t’es senti personnellement en danger ou très malheureux, tu as besoin de leur aide et de leur réconfort.

Ils prendront rendez-vous avec le principal ou l’un de tes professeur.

● n’aie pas peur de te faire entendre.

Le principal de ton collège pourra décider les sanctions:

il existe différentes sanctions dans un établissement.

Elles ont été prévues pour garantir à chacun le respect des règles de la vie commune.